Il 15 dicembre 2025, il Consiglio di Stato ha accolto in via cautelare il ricorso presentato da alcune aziende del settore canapa industriale. Ha così sospeso l’efficacia della sentenza del TAR Lazio che, a sua volta, confermava il decreto del Ministero della Salute del 27 giugno 2024.
Quel decreto aveva inserito le composizioni orali a base di cannabidiolo (CBD), come gli oli CBD a uso orale, tra i medicinali stupefacenti, rendendone legale la vendita solo in farmacia e su prescrizione medica, escludendo cannabis shop e negozi specializzati.
Una stretta che aveva messo in difficoltà operativa ed economica decine di imprese del settore.
Cosa ha deciso il Consiglio di Stato
La decisione arriva con un’ordinanza cautelare (quindi non è ancora la sentenza “finale” di merito). Ma è una svolta importante perché:
- sospende l’esecutività della sentenza del TAR Lazio che aveva respinto il ricorso delle associazioni;
- riconosce che, allo stato, bloccare tutto può creare un danno immediato e difficilmente recuperabile per le aziende (continuità aziendale e posti di lavoro);
- rimanda l’approfondimento completo delle questioni più complesse alla fase di merito.
Nell’ordinanza il Consiglio di Stato segnala che alcune questioni sollevate dalle aziende – in particolare la richiesta di rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e la possibile rimessione alla Corte Costituzionale – richiedono un approfondimento nella fase di merito. In pratica, la vicenda non viene archiviata come un semplice “dettaglio tecnico”: i profili giuridici indicati dagli appellanti restano sul tavolo e verranno discussi nel giudizio definitivo.
La prossima tappa è già fissata: udienza pubblica il 7 maggio 2026.
Perché questa sospensione è importante per la filiera
Quando il diritto cambia direzione (anche solo temporaneamente) non cambia solo una riga in una tabella: cambia la vita di aziende, dipendenti, fornitori, clienti. Il Consiglio di Stato mette nero su bianco un concetto che noi ripetiamo da tempo: una stretta improvvisa, soprattutto senza fondamento scientifico e applicata in modo rigido, può produrre un impatto enorme su un comparto economico reale.
Anche il dibattito politico si è acceso. Alcuni esponenti istituzionali hanno parlato di un settore che esiste e che è composto da piccole e medie imprese, migliaia di agricoltori, giovani e lavoratori i quali creano un valore economico e culturale non indifferente, che non può essere soppresso senza considerare minimamente le conseguenze.
CBD: perché è al centro di questa battaglia (e cosa NON è)
In questa storia il protagonista è il CBD (cannabidiolo), un composto della pianta di canapa spesso descritto – anche nelle ricostruzioni giornalistiche – come privo degli effetti psicotropi tipici del THC.
Ed è qui che nasce una delle confusioni più grandi, amplificata negli ultimi anni da decreti, ricorsi, interpretazioni e applicazioni non sempre uniformi: si finisce per fare di tutta l’erba un fascio, e “cannabis” diventa una parola ombrello, dentro cui si mette tutto. Ma CBD e THC non sono la stessa cosa, e chi lavora nel settore lo sa benissimo.
La questione discussa in tribunale riguarda composizioni orali di CBD e la loro collocazione in un perimetro assimilabile a quello dei medicinali “tabellati”. Non è un tema da slogan: è un tema tecnico, con ricadute pratiche ed economiche enormi.
Il punto chiave dell’ordinanza: il “danno grave” non è teorico
Nell’ordinanza, il Consiglio di Stato non entra ancora nel merito scientifico (quello arriverà), ma riconosce un elemento fondamentale per qualsiasi impresa: se interrompi oggi l’attività, domani non è detto che tu possa riaprire come se nulla fosse successo.
Quando si parla di “pregiudizio economico evidente” e “continuità aziendale e occupazionale”, non si parla di un fastidio momentaneo: si parla di stipendi, affitti, forniture, contratti, investimenti già fatti.
Ed è proprio qui che questa vicenda diventa, per noi, una questione di dignità del lavoro prima ancora che una questione di mercato. Con il decreto del 27 giugno 2024, le composizioni orali a base di CBD (di fatto, l’olio di CBD nelle sue formulazioni orali) venivano ricondotte al perimetro dei medicinali tabellati: una scelta che, per moltissime imprese, si traduceva in uno stop commerciale fuori dal canale previsto per quel tipo di prodotto.
In concreto, l’impatto era immediato: le preparazioni orali non risultavano più gestibili come prodotto da scaffale nei circuiti del settore, perché l’accesso veniva legato alle regole di dispensazione e prescrizione proprie dei medicinali. È questo il passaggio che ha messo in difficoltà aziende, lavoratori e consumatori, aprendo un contenzioso che oggi torna al centro della scena.
Il contesto sul territorio: cosa è successo anche a noi di Canapando
Per capire perché questa decisione pesa così tanto, bisogna guardare anche a ciò che è accaduto nei giorni immediatamente precedenti.
Nella nostra comunicazione di servizio del 12 dicembre 2025, abbiamo raccontato che, dopo la giornata del 9 dicembre, eravamo ancora operativi: punti vendita aperti, servizi attivi. Ma soprattutto abbiamo detto qualcosa che per noi è identitario: non abbiamo intenzione di farci spegnere da un clima che tende a trattare un intero settore come se fosse automaticamente “colpevole” e criminale.
Il senso di quel messaggio non era “fare polemica per sport”. Era sottolineare un paradosso che molti operatori vivono ogni giorno: quando mancano regole chiare e applicate in modo coerente, chi lavora alla luce del sole diventa il bersaglio più facile. E intanto il consumatore perde riferimenti affidabili e tracciabili.
È in questo contesto che va letta l’ordinanza del Consiglio di Stato: non solo come una bandierina politica, ma come un segnale istituzionale che riconosce la fragilità (e l’urgenza) del tema.
“Il CBD è tornato legale”? Meglio: un primo, concreto spiraglio per lavorare
L’ordinanza del Consiglio di Stato riapre la possibilità per le imprese ricorrenti di proseguire l’attività alla luce perché sospende gli effetti della sentenza del TAR che aveva dato ragione all’impostazione ministeriale.
Detto questo, il quadro resta in movimento: esistono ancora nodi normativi e interpretativi (anche più ampi, legati al settore cannabis light nel suo complesso) che, secondo molte ricostruzioni, continuano a generare incertezza sul campo. Ed è proprio per questo che l’udienza di maggio 2026 sarà un passaggio determinante.
In altre parole: oggi non stiamo festeggiando “la fine della storia”. Stiamo registrando una cosa molto concreta: un freno a una stretta che rischiava di essere devastante nell’immediato.
Quando il contesto normativo diventa instabile, l’unico modo serio di tutelare il consumatore è puntare su trasparenza e qualità. Per noi questo non è marketing: è sopravvivenza del settore.
Cosa succede adesso: le date da segnare e lo scenario plausibile
La partita non è chiusa. I punti fermi, però, oggi sono due:
- Il Consiglio di Stato ha riconosciuto la necessità di evitare un danno immediato alle imprese (economico e occupazionale).
- Il merito della questione verrà discusso il 7 maggio 2026.
Fino a quella data l’obiettivo, per chi lavora nel CBD come noi, è uno solo: tenere in piedi il settore senza rinunciare alla qualità e alla responsabilità, nella speranza che la giustizia faccia il suo corso.
Non è solo CBD, è un’idea di filiera
Questa ordinanza parla di CBD, sì. Ma parla anche di qualcosa di più grande: di come un Paese decide di trattare un comparto produttivo che unisce agricoltura, innovazione e (nel migliore dei casi) cultura della legalità.
Noi di Canapando continueremo a fare quello che abbiamo sempre fatto: lavorare, informare, tenere aperto un canale trasparente tra prodotti, persone e territorio. E chiedere con fermezza una cosa semplicissima: regole chiare, applicate in modo coerente a sostanze non droganti e che sappiano distinguere veramente la differenza tra ciò che è legale e ciò che non lo è, senza zone grigie e ideologiche che schiacciano chi lavora.
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