THCP e CBDP, sono questi i due nuovi fitocannabinoidi scoperti recentemente da un gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Modena e Reggio Emilia (Unimore). I giovani studiosi, guidati da Giuseppe Cannazza, hanno isolato e identificato i due cannabinoidi presenti nella cannabis sativa, evidenziando, per uno dei due composti, un’interazione con i recettori 33 volte superiore a quella del THC. La ricerca ha interessato, oltre a quello di Modena, diversi dipartimenti disposti in tutta Italia: CNR-Nanotec di Lecce, la sezione Farmacologia dell’Università della Campania e il Dipartimento di Chimica dell’Università La Sapienza di Roma.

Le origini della ricerca made in Italy: nuove strade

La scoperta, pubblicata sulla rivista Scientific Reports, è partita grazie allo studio della medicina FM2 prodotto dall’Istituto Farmaceutico Militare di Firenze. Grazie alle nuove tecniche di spettrometria di massa, i ricercatori hanno potuto

individuare il THCP e il CBDP. Il primo, in seguito ai test in vivo, ha un’attività psicotropa 33 volte più potente del THC ad oggi conosciuto. Di fatto, quindi, per l’attivazione di questo fitocannabinoide serviranno dosi meno potenti, ma secondo Cannazza «di concreto non c’è ancora niente perché siamo all’inizio di una scoperta, come in tutte le ricerche di base. Possiamo ipotizzare lontanamente a cosa servirà il THCP, ma la strada è ancora piena di trabocchetti».

«Riguardo al CBDP non sappiamo assolutamente che attività farmacologica potrebbe avere», affermano i dottori dell’Unimore, Cinzia Citti e Pasquale Linciano, cofirmatari dell’articolo scientifico. Il CBDP, quindi, come il suo corrispettivo già noto CBD ha dei meccanismi che non sono ancora completamente chiari ai ricercatori. Quello che è certo alla luce della scoperta è che l’effetto terapeutico della cannabis è ancora più ricco di possibilità e di terapie come quelle già messe a punto sul dolore, l’epilessia e il trattamento dell’ansia e della depressione.

Il futuro dello studio: in attesa delle Nazioni Unite

«L’importanza di questa scoperta risiede nel fatto che finora nessuno ha mai cercato il THCP nelle diverse varietà di cannabis. Il prossimo passo sarà quello di ricercare la concentrazione di questi cannabinoidi in altre varietà al fine di scoprire il motivo per il quale alcune varietà con un basso livello di THC hanno proprietà psicotrope estremamente

elevate», spiegano Cinzia Citti e Pasquale Linciano, e aggiungono «la cannabis sativa è sempre stata un salvavita per diverse patologie, tra cui il glaucoma e l’epilessia, un nutrimento impareggiabile, un materiale ecosostenibile per la manifattura e il settore tessile. È un peccato che sia associata alla marijuana».

I risultati di questo esperimento, quindi, sono estremamente importanti per la ricerca e anche per riportare l’Italia sullo stesso livello di altri Paesi Europei e oltreoceano: l’America, per esempio, è molto avanti su questi studi. I ricercatori al momento sono in attesa delle indicazioni delle Nazioni Unite, «attendiamo marzo» concludono «siamo ancora indietro sulla cannabis a livello globale».